Corsi di formazione formatori, public speaking e memoria

Lo confesso, dopo tanti anni di professione mi interessa sempre di più che alcuni argomenti trattati in un corso, in particolare quando si tratta di corsi di public speaking, formazione formatori, comunicazione, …, diano un riscontro pratico. Che, come si sul dire, “da lunedì” cambino qualcosa nella vita professionale del partecipanti

Quando finisci il primo corso di formazione formatori e ti appresti a tenere le prime aule, di solito vuole solo “sopravvivere”. Successivamente combatti per un applausino e per un buon giudizio nei questionari di fine corso. Inevitabilmente ad un certo punto inizi a porti l’obiettivo di fare qualcosa che sia utile sul serio, che rimanga e che un poco migliori la vita delle persone che hai di fronte.

Il che comporta non solo una grande attenzione a portare avanti dei metodi di lavoro o schemi di comportamento validi ed esporli con chiarezza e concretezza. Se l’obiettivo è che tutto questo sia utile, non solo le informazioni devono essere memorizzate ma, anche essere ricordate (o agite) al momento buono. Qui la questione si complica perché a questo punto bisogna capire qualcosa della memoria.

Quasi tutti abbiamo sentito parlare di memoria a breve e memoria a lungo termine, la prima corrisponde vagamente al continuare a ripetersi mentalmente un numero di telefono, comporlo e finalmente dimenticarlo. La memoria a lungo termine funziona in modo diverso.

I colleghi formatori sanno che se un argomento non viene ripetuto almeno tre volte è ben difficile che sia memorizzato a lungo termine, in ogni caso serviranno più passaggi perché questo avvenga. Altri si spingono più in la e sanno che preferibilmente il tema andrà sintetizzato dopo un ora e se possibile accennato all’indomani.

Conoscenze e abilità

Abilità: prova a impararla da una teoria.

Tutto vero, tutto utile ma sempre riferito alla conoscenza, ben definita da wikipedia come :

La conoscenza è la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni ottenuti attraverso l’esperienza o l’apprendimento (a posteriori), ovvero tramite l’introspezione (a priori). La conoscenza è l’autocoscienza del possesso di informazioni connesse tra di loro, le quali, prese singolarmente, hanno un valore e un’utilità inferiori.[2]autocoscienza del possesso di informazioni connesse tra di loro, le quali, prese singolarmente, hanno un valore e un’utilità inferiori.

E’ evidente che conoscere quello che dovrei fare per essere efficace per, ad esempio, parlare in pubblico non sia sufficiente, il modo di muoversi, la qualità vocale e una buona gestione della paura sono forse ancora più importanti.

In questo caso rientriamo nella definizione di abilità, sempre da wikipedia:

Per abilità si intende la capacità di portare a termine compiti e di risolvere problemi. Può riferirsi ad una capacità innata o acquisita nel tempo con l’esperienza o per mezzo di altre forme di apprendimento.

Qualcuno si starà già chiedendo: dov’è la novità? La novità è che mentre la definizioni di conoscenza e abilità sono molto note, è meno noto che in realtà ci stiamo riferendo a due meccanismi neurologici diversi, che apprendono in modo diverso e ricordano in modo diverso.  J. Medina, che tra le altre cose dirige il Brain Center for Applied Learning Reserch di Seattle, in cervello istruzioni per l’uso, descrive la situazione in questo modo:

Memoria dichiarativa e procedurale

Le memorie dichiarative (o esplicite NdA) sono quelle  la cui esperienza avviene a livello cosciente, come ad esempio dire “Questa maglia è verde” … le memorie non dichiarative ( memoria procedurale o implicita NdA) sono quelle la cui esperienza non avviene a livello cosciente, come nel caso delle abilità motorie necessarie ad andare in bicicletta.

Conoscenza: prova a costruire un laser senza teoria.

Per materie quali il Public Speaking o la formazione formatori, la memoria dichiarativa ha a che vedere con la conoscenza, col “cosa”, con l’apprendere come è meglio organizzare i contenuti, la loro successione i tempi, ecc. Ci vuole molto tempo perché ricordi di questo tipo si consolidino, molte ripetizioni e ahimè non è difficile dimenticare. Pare che ci vogliano quindici anni perché il ricordo diventi più o meno indelebile!  Quindi nessun timore i follow-up si confermano necessari 🙂

Vi è però un altro tipo di memoria che entra in gioco quando si trattano questi argomenti così legati all’abilità motoria, al “come”, quella procedurale o implicita. Se vuoi imparare a sciare o a cantare l’unico modo di apprendere è quello di tentare, sbagliare, ritentare, migliorare, ripetere, ripetere, ripetere … fino a quando diventa una competenza del tutto inconscia. Questi due tipi di memoria sono molto differenti per modalità di apprendimento e memorizzazione, tra loro tanto che le aree del cervello coinvolte sono completamente diverse: la corteccia per quella esplicita, l’ippocampo e le aree del cervello coinvolte nel movimento corporeo per quella implicita.

Ci sono parecchie implicazioni per il formatore che tenga un corso di public speaking o di formazione formatori. In ambedue queste abilità è implicito un grosso peso del “come”. Posso avere la miglior progettazione didattica o il più bel testo che sia mai stato scritto ma ancora non so come andrà il mio intervento, molto dipende da come mi muovo,  uso la voce o sorrido.

Ebbene per tutte queste abilità la memoria può essere fortemente ostacolata se tentiamo di forzare qualcosa di implicito in canali espliciti.

Nel bellissimo libro “Perchè alle zebre non viene l’ulcera” (2011, Lit edizioni) di R. Sapolsky, un neurobiologo della Stanford  University, si trova un esempio che mi pare formidabile:

“… come fare in modo che la neurobiologia agisca a vostro vantaggio negli sport competitivi. State giocando a tennis con qualcuno che vi sta massacrando … Aspettate che il vostro avversario sfoderi uno dei suoi strabilianti rovesci, poi porgetegli un radioso sorriso e dite: ” … Sei fantastico. Guarda che tiro hai appena fatto. Come ci sei riuscito? Quando fai un rovescio come quello tieni il pollice così o così? e le altre dita? E il sedere invece, contrai la chiappa sinistra e sposti il peso sul piede destro o il contrario? .

Fatelo come si deve e la prossima volta che vorrà fare un tiro così, l’avversario/vittima farà l’errore di pensarci esplicitamente e il colpo perderà tutta la sua efficacia.

Come disse una volta Yogi Berra “Non si può pensare e colpire allo stesso tempo.”

Public speaking e memoria

La prima implicazione, per le abilità riconducibili ad attività motorie, è che meno se ne parla, meglio è. Occorrono: esempio, allenamento e ripetizione. Al contrario quando si tratta di  abilità cognitive occorre rendere la materia digeribile per la parte più razionale e astratta del nostro cervello (la corteccia) e quindi, chiarezza (un spiegazione comprensibile), concretezza (dare evidenza alle possibili applicazioni che ne possono fare i partecipanti) e dimostrazione (far verificare che l’applicazione della teoria “funziona”).

In altre parole, se slide, fiumi di parole ed esercitazioni scritte hanno senso per aiutare a scrivere un testo adatto ad essere esposto in pubblico, non ne hanno per la formazione relativa all’uso della voce, per la quale funzioneranno meglio: filmati, esempi, esercitazioni che possano essere ripetute a casa, role play, prove con feedback, ecc. Anzi più rappresentiamo ad esempio le variazioni di volume necessarie a tenere alta l’attenzione con grafici e descrizioni verbali più stiamo ostacolando l’apprendimento, in particolare per quelli che avendo questa abilità innata verranno semplicemente confusi su qualcosa che sanno già fare.

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