La paura del formatore: la rivolta dell’aula. prima parte

Affrontare la paura del conflitto nella formazione formatori

Mi sono trovato spesso a tenere corsi di formazione formatori a persone che non avevano mai tenuto un corso. Dedico alcuni post a  queste persone che, con grandi aspettative e grande apprensione, affrontano la prima aula.

I timori sono tanti: da quello di non ricordarsi nulla al momento di parlare, a quello di non riuscire a gestire un esercitazione. La paura più grande di solito è  quella della “rivolta”. L’aula difficile che non si riesce a controllare. La paura cioè che l’intera aula, o almeno quella parte dei partecipanti che prende la parola, attacchi il formatore.

Non è un timore del tutto infondato, ci sono situazioni in cui un formatore esterno viene chiamato proprio perchè il tema è così scottante e gli animi così scossi che un formatore  interno all’organizzazione, quindi ritenuto “complice” della scelta che ha motivato la situazione di tensione, non potrebbe svolgere la sua funzione.

Ci sono tanti modi diversi di affrontare questo tipo di situazioni ma occorrono sempre due ingredienti fondamentali: restare sereni ed agire nel modo più adatto alla situazione.

Partiamo dal primo punto, restare sereni. Il più importante, facile da scrivere o dire, ma molto più complesso da realizzare. Il secondo, agire nel modo più adatto alla situazione, lo affronterò in un prossimo post. Vediamolo per punti:

Informarsi prima sui partecipanti

Questo vale per tutti i corsi che potrai tenere. Bisogna informarsi il più possibile, prima. Sai, ad esempio:

  • cosa fanno nell’arco di una giornata i partecipanti che avrai di fronte? Non solo la professione dichiarata ma letteralmente come passano le ore di lavoro.
  • Cosa li motiva e cosa li deprime?
  • Quali sono i loro ritmi di lavoro?
  • Che rapporto contrattuale hanno con l’azienda?

Anni fa questa parte della preparazione di un corso, era data per scontata e spesso remunerata. In generale, i manager conoscevano abbastanza bene la vita dei propri collaboratori, spesso avevano fatto lo stesso mestiere.

Oggi come oggi ci sono parecchie difficoltà: i manager sono molto mobili e quindi spesso non hanno fatto il mestiere dei propri collaboratori, molti corsi sono intermediati da  Società che si occupano del finanziamento e che non si preoccupano di rilevare questi dettagli. Altre volte il budget è così risicato, che dedicare del tempo ad una indagine preventiva, è una follia economica.

Esistono diverse soluzioni. La più semplice è quella di chiedere, pretendere … supplicare, di avere la possibilità di telefonare a due o tre partecipanti. Non sarà un’indagine scientifica, ma qualche elemento utile si riesce a ricavare, a volte vitale.

Ricordo una volta in cui il nuovo, iper direttivo, direttore vendite di una multinazionale, mi chiese di preparare un corso elementare di vendita. Secondo lui i venditori della sua divisione erano privi di qualunque metodo di lavoro commerciale.

Con solo due interviste fu possibile stabilire che questi venditori non solo avevano buone capacità comportamentali  ma che i loro clienti avevano modalità di acquisto molto evolute, al top nel mercato italiano di allora: decisioni sulla base del cruscotto finanziario, riassortimento automatizzato, ecc.

Proporre a queste persone un corso elementare sarebbe stato un disastro.

L’indagine formale

Il secondo approccio è più strutturato. Può aiutare in vari modi e fornisce moltissime informazioni utili. Si tratta di chiedere di poter effettuare un sondaggio anonimo sulla popolazione. Ovviamente il sondaggio deve essere proposto e realizzato in modo da dare un vantaggio all’azienda cliente che vada al di là della preparazione del corso.

Ad esempio quando l’agenda preveda di annunciare un cambiamento: ristrutturazione, riorganizzazione, cambio di mansioni, …  permette di rilevare quando quel cambiamento, nel percepito dei partecipanti, sia: noto, avversato per motivi “ideologici” o semplicemente perché le persone pensano di non avere conoscenze, metodi o informazioni necessarie ad affrontarlo.

I costi sono relativamente contenuti, Esiste la possibilità di rendere anonimo il sondaggio e i tempi di spedizione, ricezione ed elaborazione sono abbastanza rapidi. Cito l’esempio di Survey Monkey, è uno tra i i tanti siti di sondaggio validi. Per 25 €/mese permette di creare dei sondaggi di tutto rispetto, fornisce un buon livello di rappresentazione ed elaborazione. Permette inoltre di sviluppare sondaggi anonimi gestiti via email ( e se volete risultati sinceri è assolutamente necessario che lo sia). In alternativa il sondaggio può essere caricato in un sito (enbedded) ,  in certi casi può essere adatto anche se espone al rischio che un partecipante burlone risponda più volte.

Una cosa che andrebbe chiarita in un corso di formazione formatori è che l’analisi delle competenze, non è sostitutiva dell’analisi dei partecipanti. Sapere quali sono le competenze necessarie e quelle carenti, mi dice ben poco della storia delle persone, delle loro aspettative e motivazioni.

Responsabilità del formatore

Una volta in possesso delle informazioni necessarie conviene chiedersi: “Come formatore di cosa sono responsabile in questa situazione?“. Di solito le responsabilità del formatore sono: motivare, far sentire in grado per affrontare una certa situazione o  fornire strumenti e metodi che lo permettano. I momenti  “difficili” in aula sono normalmente dovuti ad  un rifiuto del cambiamento che viene annunciato, non del formatore o della sua proposta formativa. Sentirsi il bersaglio delle critiche non ha un senso logico. Vero, essere sulla linea di tiro,  non fa piacere a nessuno. Se però riesci a concentrarti sul fatto che non sei te il bersaglio e sopratutto se cerchi onestamente di capire perché le cose di cui stai parlando vengono rifiutate, avrai già compiuto un passo avanti importante a mantenerti stabile .

Gestione dell stress

Come disse un mio collega ad un cliente “Gestire lo stress è il nostro mestiere“. In effetti è una dote senza la quale il mestiere del formatore può diventare difficile. Se ho fatto i “compiti a casa”   prima del corso, ho raccolto le informazioni e mi sono chiarito l’obiettivo reale, resta da gestire il lato emotivo. In questo caso è più facile affrontarlo a partire dal corpo che dalla mente.

Per prima cosa, quando una persona va sotto stress, è come se tutta l’energia del corpo andasse verso l’alto e verso l’interno: le gambe si fanno rigide, il volto scuro, col mento abbassato e l’espressione seria, la respirazione diventa più affannosa e più “alta”.

Gli americani utilizzano un’espressione intraducibile per dire come dovresti fare quando ti trovi sotto attacco: essere “grounded“, ovvero ancorati al suolo. Fai la prova: stai sull’attenti con le ginocchia belle rigide, ” a baionetta”, e poi piegale appena, quel tanto che basta a sentirsi stabili sul suolo. A riposo l’effetto delle due posizioni sullo stato d’animo è minimo, ma quando si è in tensione, può essere notevole.

Il volto dovrebbe rimanere rilassato, se possibile sorridente, senza che il mento venga abbassato (in difesa) o alzato (in sfida).

La chiave di tutto però risiede nella respirazione. Quando siamo in ansia, respiriamo usando la parte alta dei polmoni con il diaframma quasi immobile e i muscoli intercostali al massimo sforzo. Gli altri vedranno le spalle sollevarsi ed abbassarsi, sentiranno la voce stridula, percepiranno la stato di tensione che ti attanaglia. Questo modo di respirare non è solo poco efficiente (i polmoni hanno la forma di una pera, quindi la parte alta tiene ben poca aria, i muscoli intercostali sono piccoli e deboli) ma al crescere della tensione può diventare talmente inefficiente da causare la cosiddetta “fame d’aria”, la sensazione cioè di non respirare abbastanza.

Insegnare la respirazione diaframmatica va oltre gli obiettivi di questo post. Molte discipline: yoga, arti marziali, canto,… la insegnano (puoi provare a guardare qui ). Secondo me è una competenza essenziale per la salute fisica e mentale ed ha bisogno di un po’ di esercizio per essere utilizzata al momento del bisogno.

In ogni caso esiste anche una sorta di “pronto soccorso”  per la respirazione. Quando nel sangue il livello di ossigeno scende il corpo entra in una modalità più automatica, meno soggetta al momento emotivo. Se tratteniamo il respiro abbastanza a lungo, quando riprendiamo a respirare, noteremo che qualcosa è cambiato: la pancia si gonfia un po’ ad ogni ispirazione e si sgonfia espirando. E’ perfettamente possibile (se non si esagera) trattenere il respiro e riprendere a respirare senza essere particolarmente rumorosi. Se la situazione di stress è molto forte, farlo una volta potrebbe non essere sufficiente, ma con due o tre apnee la situazione dovrebbe tornare alla normalità.

Fermati!

Se c’è una cosa che può gettar benzina sul fuoco è cercare di evitare la discussione nei momenti d tensione. Per due motivi. Lo sfogo a volte è necessario e deve avere un certo tempo per realizzarsi, inoltre la fuga  può farti perdere il contatto con l’energia che hai a disposizione: i partecipanti stessi. Se tu non sai più cosa fare o dire, lo saprà senz’altro qualcuno del pubblico, se sei in difficoltà fai in modo che possano esprimersi anche quelli che sono stati zitti fino a quel momento. Una frase salva vita è: “Ci sono altri punti di vista?“. Con questa domanda si ottengono tre scopi,

  • se qualcuno non si era ancora sfogato trova la sua opportunità,
  • i diversi punti di vista saranno espressi in modi diversi ed alcuni ti potranno dare uno spunto per replicare,
  • ultimo e non meno importante dimostrerai che non hai paura e manterrai la leadership.

Quando hai finito di gestire le tensioni prosegui!

Se, come abbiamo visto, cercare di andare avanti ignorando le tensioni è controproducente lo è altrettanto indugiare in queste situazione. Una volta ricomposta la discussione bisogna procedere decisi sia per evitare che tutto ricominci da capo,  sia per completare i lavori

 

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